Una crisi economica come quella del 2008 o sanitaria come quella che ancora stiamo vivendo, porta nella vita delle aziende una indeterminatezza difficile da sopportare. È curioso guardare con attenzione a come le aziende reagiscono a questi momenti. C’è un errore che non deve assolutamente essere commesso: aspettare, aspettare fino agli estremi, aspettare fino a quando non ci sarà più tempo di fare altro se non chiudere l’azienda.
Ma perché alcune (molte) aziende aspettano? Cosa aspettano?
Aspettano che passi la crisi (qualsiasi cosa significhi) e che le cose tornino come prima. Ma questo non accadrà mai.
In condizioni normali di mercato l’approccio che le aziende hanno deve cambiare più o meno impercettibilmente per consentire di mantenere lo stesso trend di crescita. Un nuovo prodotto adatto ad un pubblico diverso dal target di riferimento, l’entrata in campo di una nuova azienda, un competitor che decide di cambiare sensibilmente la propria comunicazione destabilizzando il mercato, e via così. Ma allora, perché in un momento in cui il mercato non è stabile, come nell’esempio precedente, ma subisce uno stravolgimento, si attende un ritorno allo status quo antecedente? Non è un controsenso?
Molti sanno che la parola “crisi” in giapponese è composta da due ideogrammi che significano “pericolo” e “opportunità”; da questo dovrebbero partire gli imprenditori per comprendere come il mercato si muove sempre. Durante la crisi del 2008 sono fallite molte aziende, ma contestualmente sono nate diverse migliaia di start-up, alcune di queste diventate dei casi di riferimento: Dropbox, Whatsapp, Uber, … ora dei colossi, ma nate come piccole strutture.
Di seguito vi porto un esempio di come un’azienda dovrebbe pensare. Durante il 2008 un mio cliente vicentino che produce valvole idrauliche, sì è trovato in difficoltà perché i suoi clienti non acquistavano più in stock così da per poter strappare un prezzo più basso, per loro non c’era garanzia che i prodotti venissero utilizzati. Il mio cliente aveva appena acquistato due nuove linee di produzione automatizzate: come risolvere il problema? Lui non ha aspettato. Ha dismesso le due linee di produzione automatizzate e ha assunto 30 persone: un pazzo? No. Per cambiare prodotto con le linee di produzione automatizzate era necessario occupare un giorno e mezzo. Con le 30 persone neo-assunte ha organizzato gruppi di operatori (da 3 a 5 persone) che consentivano di produrre le valvole certamente con un tempo maggiore rispetto alla linea automatizzata, ma seguendo le necessità del cliente, anche un pezzo solo e producendo da 6 a 10 tipologie di valvole diverse contemporaneamente. E per passare da una valvola ad un’altra i tempi morti erano al massimo di 15 minuti. Con questa possibilità i clienti acquistavano anche un solo pezzo e non erano costretti a fare magazzino, pagavano per questa opportunità un prezzo fortemente maggiore per ciascuna valvola e nel settore si è sparsa la voce. Il mio cliente al termine sia del 2008 e che del 2009 ha avuto un fatturato e un utile maggiore rispetto al 2007, ammortizzando la dismissione delle linee automatizzate e dando, in un periodo di crisi, lavoro a 30 famiglie.
I fisioterapisti dicono che se hai mal di schiena ti devi muovere, fermarti peggiora il problema. Se sei in crisi, guarda il motivo e agisci. Il passato si chiama così perché … è passato: davanti a te c’è il futuro, devi decidere tu di che colore vuoi che sia.