Il libero professionista riuscirà a seguire una strategia di branding a patto di prestare attenzione ad alcune cose. Ma prima di affrontare la questione, una doverosa piccola premessa: quanto è difficile avere un’attività come libero professionista?
Da libero professionista direi molto più complicato rispetto ad avere un’azienda: ogni tua scelta fatta per l’attività ha risultati che ricadono solo su di te. Certo, da un punto di vista positivo non hai nessuna responsabilità verso i dipendenti. Ma ogni decisione devi prenderla tu, non c’è nessuno che ti aiuti e senza confronto non hai mai la certezza che quanto tu pensi di sviluppare abbia un senso e sia un vantaggio.
In sintesi: la spietata solitudine del libero professionista.
È proprio così? Perché, se ci pensate bene, non siete soli. Anzi, godete di un vantaggio rispetto al titolare di un’azienda.
La strategia di branding si basa sull’ascolto degli altri
Questo vantaggio è che avete un contatto continuo con i vostri clienti: li conoscete di persona e arrivate a intrecciare una relazione professionale strettissima. E ora ritorno al nocciolo della questione sulla strategia di branding.
Perché spesso questa relazione diretta e costante con il cliente non la sfruttate: dimenticate di ascoltare quanto il cliente vi dice, non perché non sia importante, ma perché non lo tenete nella giusta considerazione per costruirvi la vostra credibilità.
Ecco perché la creazione del proprio personal branding deve tenere in gran considerazione le informazioni ricevute dai propri clienti.
Perché fare personal branding: le figure professionali che più ne hanno bisogno
Vi dirò di più. Alcune professioni ne hanno bisogno più di altre. Sono professioni che richiedono una competenza specifica elevata e – spesso – i professionisti la utilizzano calandola dall’alto in basso sui clienti, come le tavole della legge.
I miei colleghi consulenti di marketing, in primis, ma anche avvocati, commercialisti, notai e così via. Tutte attività con competenze specifiche e la cui trattazione è talmente delicata che è quasi impossibile che il cliente chieda un confronto con il professionista. (Voi che lavorate con criterio non prendetevela per questa affermazione: lo sapete che il vostro settore ha al proprio interno figure non proprio trasparenti.)
È qui che va messa in atto la nostra capacità empatica per far capire – il più possibile – al cliente cosa accade e dove lo volete portare. Mettere il cliente nella posizione di capire, lo porta a esprimere soddisfazione, comunicandolo. Del tipo: “Sa, avvocato, con altri suoi colleghi mi sono sempre sentito un numero, ma con lei mi sento capito”. Sono sicuro che qualche avvocato se lo è sentito dire dal cliente.
Sarà la nostra capacità di ascolto a porre le basi per un buon personal branding.
Rimanendo in quest’ambito, pensate che a Milano esistono più di 500 studi di avvocatura civile. Sapete quanti sono a Roma? Ho chiesto a ChatGPT mi ha risposto che il numero è incalcolabile, ma certamente più di 10.000.Questa concentrazione capita per ciascuno dei settori in cui agiscono i liberi professionisti.
Davvero non vi volete differenziare?